Molte persone non sanno che sapore abbia un buon olio d’oliva. E poiché questo ingrediente è ormai un elemento sempre presente sulle nostre tavole, è importante sapere cosa cercare in un buon olio extravergine d’oliva. Marco Oreggia ci spiegherà l’importanza dell’olio extravergine di oliva per la nostra salute e come scegliere un buon olio, anche senza essere esperti del settore.
QUAL È LA SITUAZIONE ATTUALE DELLA PRODUZIONE DI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA?
Come fin dall’antichità, ancora oggi la stragrande maggioranza (oltre il 96%) della produzione mondiale di olio proviene dai paesi del bacino del Mediterraneo, paesi tradizionalmente produttori. Qui il peso maggiore è costituito dalle nazioni dell’Unione Europea che, da sole, costituiscono circa il 70% della produzione di tutto il mondo, con Spagna, Italia e Grecia che sono i colossi produttivi. Il resto è rappresentato dalle produzioni di America (Stati Uniti, Messico e buona parte dell’America del Sud), Oceania (Australia e Nuova Zelanda) e quella parte dei continenti asiatico e africano che non sono bagnati dal Mediterraneo.
QUAL È LA SITUAZIONE IN ITALIA?
L’Italia si contende ogni anno con la Grecia il secondo posto sul podio. Nell’ultima campagna (2019-2020) la produzione di olio si è attestata intorno alle 300mila tonnellate. Le più fruttifere sono le regioni del Meridione, seguite a lunga distanza dal Centro e dal Settentrione. Fra tutti i paesi mediterranei l’Italia spicca, oltre che per tradizione della coltura e radicamento della pianta sul territorio, soprattutto per i fattori qualitativi. Ovvero l’albero dell’olivo ricopre l’intera penisola da tempi immemorabili, ma la vera ragione della leadership italiana sta nella ricchezza del parco varietale: a oggi sono state censite ben 695 cultivar che danno origine a oli extravergine di altissima qualità e diversi tra loro, ognuno unico nel suo genere perché espressione della varietà dell’oliva da cui viene ricavato. Mettiamo subito a fuoco, dunque, un concetto importante: non è il territorio di provenienza a determinare le caratteristiche di un olio, bensì la varietà dell’oliva di partenza.
QUANTO È IMPORTANTE IL CONSUMO DI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA?
Pur con la premessa che nell’ambito del consumo dei grassi l’olio di pressione rappresenta appena il 3-4% a livello mondiale, noi siamo tra quelli che sostengono che il consumo di olio extravergine di oliva sia molto importante per la salute dell’individuo. Questo è infatti un eccellente condimento, ma anche un alimento. È un prodotto cosiddetto nutraceutico, qualitativamente migliorato negli ultimi anni, sano, e per certi versi assimilabile a una medicina naturale. Certo, parliamo pur sempre di un prodotto ricco di acidi grassi i quali però, nelle giuste quantità e assieme ad altre componenti, si rivelano preziosi per il nostro organismo. Dunque sì all’extravergine principe dei condimenti e alimento base della dieta mediterranea. Nessuno o quasi, per fortuna, lo identifica più come mera sostanza per “non far attaccare il cibo alle padelle”, mentre aumentano gli estimatori che lo elogiano come prodotto di grande qualità aromatica, capace di incidere fortemente nella caratterizzazione del piatto principale, sia esso una pasta, un secondo, una preparazione di verdure o una semplice fetta di pane.

QUANTO È IMPORTANTE SAPER DISTINGUERE UN OLIO “BUONO” DA UNO “CATTIVO”?
Partirei con una premessa, ricordando come viene classificato dal punto di vista merceologico l’extravergine: olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici. Quindi è un processo esclusivamente meccanico quello che, attraverso la pressione, consente di estrarre dall’oliva un composto fatto di olio, acqua e piccole particelle. Questa miscela viene poi centrifugata per separarne la parte oleosa che, più leggera, viene filtrata e costituisce l’olio extravergine, pronto per essere consumato. Dunque, per prima cosa, l’extravergine si distingue nettamente da altri oli vegetali i quali, per diventare edibili, devono essere raffinati ovvero sottoposti a un processo di trasformazione di tipo chimico (mediante solvente organico) e fisico (temperatura e pressione) che determina un impoverimento delle componenti nutrizionali. Ma è soprattutto la sua composizione a renderlo un alimento prezioso, perché comprende, oltre ai nutrienti, una porzione minore di componenti, tra cui sostanze che svolgono una funzione protettiva per il nostro organismo. Quelle stesse sostanze che sono peraltro responsabili delle particolari caratteristiche organolettiche dell’extravergine che lo rendono più gustoso rispetto ad altri oli vegetali. Detto ciò, allora la risposta è facile: saper distinguere un buon olio da uno cattivo è importantissimo.
COME FARE A RICONOSCERE UN AUTENTICO OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA DA UNO DI BASSA QUALITÀ O, PEGGIO, CONTRAFFATTO?
Entra in gioco a questo punto la figura dell’esperto assaggiatore che è capace, attraverso l’assaggio (il cui metodo è codificato dal Consiglio Oleicolo Internazionale), di valutare un olio. Gli esperti assaggiatori, cioè, selezionati, addestrati e riuniti in gruppi di lavoro, sono abilitati a elaborare una valutazione sensoriale del prodotto (panel test) decretando se questo è esente o meno da difetti e stabilendo se si trova nella corretta categoria merceologica (extravergine, vergine, lampante).
La qualità di un olio si stabilisce quindi sulla base di analisi non solo chimico-fisiche ma anche sensoriali. Detto in altre parole è l’analisi organolettica che ci insegna a riconoscere un extravergine di qualità. Questo è tale quando sprigiona, sia a livello olfattivo che gustativo, un aroma (più o meno intenso) che si definisce fruttato, ovvero un sentore fresco e gradevole che ricorda il frutto dell’oliva, l’erba appena tagliata ed eventuali note aromatiche che si possono riconoscere e descrivere. Un olio, poi, è di buona qualità quando, al gusto, si percepiscono due sensazioni: l’amaro e il piccante.
Queste percezioni, anch’esse più o meno intense, contraddistinguono non soltanto la qualità di un olio, ma anche la sua salubrità. Comunemente invece accade che l’amaro e il piccante, che sono dunque un vero e proprio pregio del prodotto, vengano scambiati dai consumatori per dei difetti, ritenendo che l’olio che ha questo gusto e questa caratteristica di “pizzicare nella gola” sia “pesante”, “indigesto” oppure “acido”. Ecco, sfatiamo subito questo luogo comune: la chimica insegna che l’acidità libera dell’olio non è percepibile a livello gustativo (gli acidi grassi liberi dell’olio sono inodori e insapori). Al contrario l’amaro e il piccante sono indice di un’elevata concentrazione nell’extravergine di quei componenti minori – clorofilla, fenoli, carotenoidi, fitosteroli e tocoferoli (ovvero la vitamina E) – che svolgono un’importante funzione per il nostro organismo, essendo degli elementi antiossidanti che contribuiscono a combattere l’invecchiamento cellulare. Senza contare che costituiscono, per così dire, i “muscoli” dell’olio, quelli che gli permettono una durata maggiore nel tempo, prima del naturale deperimento.
Se non si è degli esperti (o non ancora) un buon criterio di scelta può essere quello di orientarsi verso oli extravergine di cui sia certificata la provenienza. Sono prodotti che vantano la cosiddetta Denominazione di Origine che è il frutto di un accordo tra i produttori e gli enti istituzionalmente preposti ad assicurare la protezione della provenienza del prodotto. Il vantaggio è la garanzia di una filiera tracciata, con un controllo svolto all’origine, sia degustativo che chimico. Un extravergine certificato si riconosce perché presenta, sulla bottiglia, un marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta). Questi marchi, attribuiti dall’Unione Europea, tutelano in generale gli alimenti le cui caratteristiche qualitative dipendono esclusivamente o sostanzialmente dal territorio di origine. Nel caso specifico dell’olio extravergine, sia il marchio DOP che quello IGP indicano che tutta la filiera produttiva (coltivazione della pianta, raccolta delle olive, trasformazione e imbottigliamento dell’olio) si svolge nella stessa zona. Anche i metodi di coltivazione biologici possono costituire una, ulteriore, certificazione e diventare un criterio di preferenza: il marchio da Agricoltura Biologica certifica che il prodotto è ottenuto con metodo biologico.
COSA CI POSSIAMO ASPETTARE PER IL FUTURO?
Ci sono segnali positivi: la normativa sull’origine e sull’etichettatura, l’inserimento di nuovi parametri chimici utili per la lotta alle frodi (pensiamo in particolare all’analisi dell’olio extravergine basata sul test del Dna) e la maggiore riconoscibilità dei marchi DOP, IGP, BIO. Permangono certo numerosi problemi irrisolti, primo fra tutti una legislazione ancora inadeguata e carente sia in Europa che nel mondo. Ma confido in un rilancio, in generale, del settore attraverso un maggiore controllo delle zone e dei volumi produttivi, un deciso potenziamento delle norme antifrode e il miglioramento della ancora poco efficace classificazione merceologica dell’olio da olive. Insomma, anche in vista del superamento di un momento di crisi come questo, punterei decisamente su questa pianta che costituisce una risorsa e un bene così speciali.