Verso la fine del 2020 la Slovenia aveva chiesto all’UE di poter utilizzare la denominazione “aceto balsamico”, facendo ribellare il nostro Consorzio (e non solo).
Si è acceso un dibattito piuttosto controverso che sta infuocando gli animi di due interi Paesi, l’Italia e la Slovenia. La prima nazione è orgogliosa del suo importante patrimonio enogastronomico, invidiato in ogni parte del mondo. La seconda, invece, ha espressamente chiesto alla Commissione Europea, verso la fine dell’anno scorso, di estendere la definizione di “balsamico” a tutti quegli aceti prodotti con frutta e succhi di frutta fermentata, a prescindere dalla localizzazione. Insomma, questo Paese dell’Est europeo vuole poter commercializzare il suo “aceto balsamico”.
La notizia non è stata presa affatto bene dai consorzi che hanno la mission di tutelare l’aceto balsamico di Modena, l’unico autentico e meritevole di essere chiamato in tale modo. Perché?
Per capire le ragioni dietro allo sdegno generale, che ha coinvolto pure Paolo De Castro, eurodeputato italiano eletto col PD, e Janusz Wojciechowski, commissario all’agricoltura dell’UE, bisogna cercare di entrare un poco in profondità di questa faccenda. Dobbiamo comprendere le ragioni economiche dietro alle scelte prese e intraprese dai rappresentanti dei due Paesi riguardo a questa spinosa questione.
Infatti, se da un lato abbiamo la Slovenia che cerca di entrare in un mercato che potenzialmente può fruttare miliardi, dall’altro vediamo invece l’Italia, che conta sulla produzione e il commercio di questo prodotto Dop/Igp per far innalzare (non di poco) il reddito dello Stato.
La Commissione di Bruxelles non si è ancora espressa, ma un tavolo tecnico si è già messo ai lavori per valutare la proposta slovena e capire qual è la mossa giusta da fare per riuscire a non scontentare nessuno.
Le ragioni per cui l’aceto balsamico può essere soltanto “di Modena”
Molti non capiranno affatto perché seguire questa controversia da vicino sia una cosa così importante per le sorti del nostro mercato, sia quello interno che quello d’esportazione. In merito a ciò bisogna chiarire determinati punti che potrebbero non apparire subito palesi.
Innanzitutto i prodotti a base di frutta non possono essere definiti come “aceto balsamico”, dal momento che la parola “balsamico” non ha nulla a che fare con il fruttosio, ma bensì si riferisce alle proprietà appunto balsamiche che hanno più a che fare con le resine degli alberi, il fiore di eucalipto e la menta.
La denominazione “balsamico” del famoso aceto prodotto a Modena dipende a proposito dal tipo di fermentazione, ottenuta tramite un lungo processo di invecchiamento in particolari botti di legno.
Inoltre, ormai le due parole “aceto balsamico” vengono immediatamente associate al prodotto caratteristico della città emiliana. Utilizzato questa nomenclatura, gli sloveni tentano di rubare (letteralmente) una buona fetta del mercato estero di quella che fino a oggi (e speriamo anche domani) è stata un’esclusiva tutta nostrana.
Infine, secondo quanto è stabilito in base al regolamento dell’UE sul packaging della merce, sull’etichetta non può essere utilizzata una definizione approssimativa, ma piuttosto risulta necessario, al fine di poter vendere un articolo, che siano indicati a chiare lettere le materie prime che vengono utilizzate nella produzione.
Se quindi la Slovenia intende vendere aceto “balsamico” tratto da mosti, sulla bottiglia dovrà essere necessariamente scritto “Aceto di mosto d’uva”. Si tratta di trasparenza e correttezza, soprattutto nei confronti dei consumatori.